LA STORIA DI SOULEMANE

DAL MALI, TUTTO IL SUO MONDO IN UNA VALIGIA E UNO ZAINETTO

Perché?

Quando gli amici dello SPRAR ci proposero  di entrare nel “progetto accoglienza in famiglia” non ce la sentimmo di dire subito no, ma neanche eravamo sicuri di rispondere sì. Ne parlammo tra noi: c’era curiosità e voglia di fare qualcosa, ma anche dubbi che riguardavano l’utilità reale, per un ragazzo che magari sarebbe stato meglio insieme a suoi coetanei, invece che a due persone molto più anziane di lui; oppure i condizionamenti alla nostra libertà di movimento o verso le nostre abitudini.

Quando prevalse il sì e incominciammo il percorso di conoscenza reciproca, Katia (la psicologa dello SPRAR), ci rivolse la classica domanda: ”perché lo fate?”. Abbiamo saputo rispondere solo: “Perché no?”

In realtà, ripensandoci meglio, ci accorgemmo che dietro alla decisione c’erano anche motivazioni che venivano da lontano ed erano legate al dovere-piacere di  mettersi in gioco in un clima sociale montante, basato sulla paura irrazionale, che non ci convinceva e non ci piaceva.

Invece ci convinceva e ci piaceva l’impostazione del progetto. Rispondeva ad una logica semplice, ma efficace: il cosiddetto “problema” dei migranti potrebbe perdere gran parte del suo impatto negativo se ci fosse accoglienza diffusa in tutti i comuni italiani e anche in molte famiglie, che sarebbe, poi, la modalità migliore per la loro integrazione.

Una parte piccola della nostra accettazione era poi legata alla risposta da dare a quell’invito provocatorio che spesso, nelle discussioni, ci era stato rivolto: “E allora prendili a casa tua”. Che bello poter rispondere: “Certo, io l’ho preso.”

Quando è arrivato lui.

Alla fine Soulemane, dal Mali, è arrivato a casa nostra portando con sé tutto il suo mondo in una valigia e uno zainetto. Un ragazzo di vent’anni che ha trovato la forza e la dignità di dirci subito che anche lui voleva, ma, allo stesso tempo, temeva questa  esperienza, per lui totalmente nuova, perché non aveva mai avuto una famiglia. Ci chiese, sottovoce, di fargli una promessa: qualsiasi cosa non andasse bene nei suoi comportamenti e nei nostri dovevamo dircelo subito, reciprocamente, senza reticenze. Aveva timore di creare problemi a noi e che noi ne creassimo a lui. Su questo patto solenne cominciammo la nostra convivenza.

Raccontare brevemente cosa sono stati i mesi passati insieme è complicato per il tanto che c’è stato e continua ad esserci tra noi, anche ora che Soulemane vive per conto suo e, finalmente, dopo tante difficoltà, ha trovato anche un lavoro.

Possiamo dire di aver incontrato un ragazzo mite, serio, responsabile, sensibile e attento agli altri, curioso del mondo.

Piano, piano si è aperto e ha condiviso con noi la sua vita troppo piena di dolori e di situazioni angosciose, ma anche le sue speranze di giovane uomo proiettato nel futuro.

La sera che ci ha detto che, a casa nostra, aveva superato delle difficoltà che lo perseguitavano da anni, ci siamo commossi e ci siamo abbracciati e… fu subito famiglia.

Ha ripetuto più volte che ora si sentiva tranquillo e che a Fermo si sentiva bene, a suo agio e libero. E noi che, invece, ci preoccupavamo quando andava fuori la sera tardi e magari tornava solo.

I nostri amici sono diventati anche i suoi e ci chiediamo ancora adesso cosa lo spingesse a scegliere di stare con noi “vecchi” anche in quelle serate con tante chiacchiere, di cui, all’inizio, capiva ben poco.

Una cosa crediamo sia importante sottolineare: convivenza, chiacchierate, cucinare insieme, condividere la gestione della casa, attenzioni reciproche…tutte cose che ci hanno dimostrato, ancora una volta, che sugli aspetti di fondo: sentimenti, principi morali, speranze, sogni, non ci sono differenze culturali reali e che il dialogo e la comprensione reciproca sono facili, più semplici e naturali di quanto ci appaia.