L’ANIMO DELL’INSEGNANTE

L’ANIMO DELL’INSEGNANTE

“Il mio coinvolgimento, sia come docente che come supporto alla logistica, nel percorso di insegnamento dell’italiano come L2, agli ospiti dei progetti SPRAR, ha registrato fasi alterne, per una serie di ragioni.

In quest’ultima fase, abbastanza lunga, avevo quasi del tutto accantonato il campo, per dare vita ad altri progetti.

L’epidemia ha posto un freno secco a tutte le attività e io trascorrevo (trascorro) la quarantena in un contesto con pochi limiti, perché vivo in aperta campagna, dove le passeggiate per i campi, la manutenzione del giardino, la lettura e altre piacevoli attività riempivano, e riempiono, questo tempo sospeso.

Alessandro e Jolanda, non sopportando questa mia felice condizione, consapevoli che in me l’anima dell’insegnante ha una valenza imponderabile, mi hanno coinvolto per accompagnare i ragazzi del servizio civile nella programmazione e attuazione di lezioni di italiano online ai ragazzi e alle ragazze SPRAR fuori dal circuito scolastico “formale”.

Ardua impresa per chi ha poca dimestichezza con la tecnologia e ritiene imprescindibile la relazione empatica tra docente e discente.

Una sfida accettata con mille dubbi e incertezze, che ha sollecitato quella parte di me sempre proiettata a nuovi percorsi e nuove “imprese”.

Gli incontri si effettuano dal martedì al venerdì per un’ora e mezza, e coinvolgono due classi virtuali di circa 8 allievi. Le difficoltà sono tante tra cui la povera strumentazione tecnologica, di cui sono dotati i ragazzi; le strategie metodologico-didattiche, che il nuovo setting richiede; il coinvolgimento motivazionale degli utenti.

Come di norma, le due “classi” sono molto variegate per età, provenienza, background scolastico, capacità cognitive e relazionali, ma anche molto rumorose e parlanti. I volti a volte si vedono, poi scompaiono all’ improvviso per riapparire in tempi non codificati, le voci si accavallano….

Le lezioni più formali iniziano questa settimana…ce la faremo?

Pur tra dubbi e difficoltà, la certezza che le lezioni di lingua devono andare avanti è totale e assoluta.

Sono infatti fermamente convinta che conoscere l’italiano e i processi comunicativi costituisce uno degli elementi principali per essere riconosciuti individualmente e collettivamente e che deprivare i ragazzi e le ragazze della lingua seconda, a livelli sempre più alti di conoscenza, vuol dire condannarli ad una vita di emarginazione e povertà.

A volte tale certezza espressa dal facilitatore linguistico non viene pienamente riconosciuta dal migrante per una serie di ragioni: la percezione che l’urgenza non sia la scuola, bensì il lavoro o l’alloggio; la convinzione che l’esperienza pratica attraverso le interazioni amicali quotidiane, unite a momenti di autoapprendimento veicolati da televisione, cellulari siano più che sufficienti; l’esigenza di sopravvivere giorno per giorno, orientarsi/riorientarsi in un mondo che ha uno sguardo di rifiuto e che rimanda un’immagine di inadeguatezza che frantuma.

Occorre lavorare con questi giovani affinché acquisiscano la consapevolezza che il possesso della lingua italiana consentirà loro di ricomporre il proprio sé, facendo in modo che le origini e le radici trovino posto accanto alle nuove dimensioni dell’io, dando vita ad un inedito equilibrio.

Il mio sogno, ogni volta che inizio un percorso di insegnamento-apprendimento, è quello di accompagnare gli “alunni” a possedere la lingua ad un livello tale che possano raccontare il sé, dispiegando ricordi, immagini, volti, il sentimento di ciò che si è smarrito, la nostalgia di un tempo interrotto.

Nel contempo mi sovvengono le immagini e le parole di Aboubakar Soumahoro e non posso non pensare che tutti i miei “alunni” emulino questo straordinario sindacalista e siano in grado, un giorno, di padroneggiare la lingua in modo tale da diventare i protagonisti del loro futuro, “cittadini” con uguali diritti…e doveri, naturalmente.”

Gelsomina Viscione